Alberto Casiraghy, tra carta e anima
Amico di Alda Merini e Vanni Scheiwiller, a Osnago, in Brianza, ha il suo studio microcosmo. Alberto Casiraghy, artista, poeta, autore di libretti unici
Articolo uscito su La Bréva, Giornale di Lecco, il 16 luglio 2018
Come sarà Alberto Casiraghy, l’artista, il poeta? Ed ecco che ti apre il cancello. Due occhi azzurri sul viso di un uomo. Una statua davanti all’ingresso e una scultura di tubi. Se suoni il campanello, ti accolgono le sue galline.
Gli ho chiesto se le potevo toccare, le galline. E così, ne ha presa una e me l’ha fatto fare. Alle galline, Alberto vuole bene. Non sono solo compagne, mi dirà dopo, è una questione diversa, “una questione di rispetto” per gli animali. Infatti, poi lo scoprirò, non mangia carne.
“Mangerei carne solo se sparissero tutte le altre cose”.
E quando apre la porta, con il suo cappello bianco e blu, vedi un intero universo. Osnago, centro paese. La casa studio si trova facilmente, basta cercare il numero 12 e si arriva sull’uscio di una casetta bianca. La casa è piena di vita, libri ammonticchiati, miriadi di oggetti appesi al muro, ognuno con il suo senso in un disordine ordinato. Un mondo diverso, un “microcosmo”, come ama chiamarlo lui. Tutto qui è Pulcinoelefante.
In questa sua casa “vieni e vai”, tutto è come se avesse la sua anima dentro. Se giri lo sguardo è come fare un tuffo in un paradiso di carta. Qui arrivano e vanno tante persone, le più disparate. è un andirivieni di gente, persone, storie. Dalla ragazzetta zingara con due bambini gemelli, che si deve salvare, a scrittori, intellettuali e poeti.
“Ogni giorno viene qualcuno e si stampa insieme”. Da qui sono passati i più grandi e i più umili.
“Ogni persona è unica. Questa è veramente un’esperienza oltre che editoriale anche antropologica fatta di tantissimi incontri”, dice Alberto. E ci sono più cose in questa casa che in tutto il creato.
E allora, Alberto toglie il cappello, ci sediamo al tavolo e comincia a tagliare dei fogli. Sta lavorando al libretto di una psicanalista: sulla copertina, un filo rosso. Si intitola “misteri”. Al centro della casa, campeggia una vecchia macchina tipografica, la Audax Nebiolo, quella che Alberto usa per stampare suoi piccoli libri. Macchina che è stata ritirata dalla Same, la società per Azioni Milanese Editrice, dove lui lavorava quando è stato notato da Montanelli ed è stato messo a comporre la prima pagina de Il Giornale.
Apre un cassetto e mi fa vedere i tesori: sono incisioni su legno, disegni complessi. “Li faceva un amico, che adesso non c’è più, che si chiamano clichè”. E sono ali di uccello, decori, animali. Linee sottili, cose che non si usano più e che valgono molto. “Sai, il clichè è una parola francese, che indica una cosa che si può ripetere. Tu li puoi ristampare.”
I caratteri mobili descrivono un mondo lento, un mondo diverso, dove si respira pace e un odore di carta e stampa. Al piano di sopra c’è l’archivio, mi mostra un liuto di legno. Ho letto che facevi il liutaio. “Sì, poi mio fratello è diventato più bravo di me”. E ci sono, stipati negli scaffali, 10.000 libricini custoditi e ordinati. Libri che sono gioielli in carta pregiata. Alcuni sono dei più grandi artisti del Novecento, da Pasolini ai carcerati di San Vittore. E ogni libro è unico, particolare, espressione della persona che lo ha pensato.
Apre un tabernacolo, chiuso con chiave e mi mostra un rossetto. “Questo è l’ultimo rossetto di Alda Merini”.
Ed è qui che la incontro, per la prima volta, nelle parole di Alberto, su un rossetto dal colore porpora, tendente al viola. La cosa più cara, il segno di una femminilità a cui la Merini non ha mai rinunciato. Il segno del bene che due persone si sono volute nel corso di più di 20 anni. Alberto era un amico speciale di Alda Merini, la poetessa italiana che è stata in manicomio e ha vissuto una vita intensa e tormentata. È stato Alberto a farla virare sugli aforismi e a pubblicare i suoi libretti. “A lei non piacevano gli aforismi, lei scriveva solo poesie”.
Lui apre un pacchetto di fogli, sul tavolo della cucina e mi legge dei testi di Alda. “Senti questo”, dice Alberto: “prima di morire voglio un po’ di libertà”. E questo: “il peccato è la pelle del desiderio”.
Lei lo chiamava per dettargli gli aforismi, alle 7 di mattina. Sempre al telefono. “Mi chiamava e me li dettava”. Quando andava a trovarla al sabato, “ci sedevamo sul letto e mi tirava fuori pensieri così profondi”. E quando mi chiede di guardare una foto di lui e Alda mi dice, “lei qui sembra un po’ una gattona”. E poi, mi parla di Lei: “eravamo quasi fidanzati, ma non in senso fisico”. Intimo, gli chiedo? “Un’amicizia intima. Eravamo molto vicini”. Un’amicizia speciale, profonda.
Perché lei, negli occhi di lui, ancora vive.
Suona il telefono, suona più volte. Sono persone che chiamano perché vogliono venire in questa casa aperta e stampare un libro. Una, due, tre, quattro, cinque telefonate. A volte è un padre che viene con un bambino, a volte è una madre. Ma potrebbe essere anche Woody Allen. E non sarebbe una sorpresa.
Mi vede con la sigaretta elettrica, gli chiedo se posso. Mi dice che lui non ha mai fumato, ma mi parla della poesia delle labbra su un mozzicone di sigaretta. “La Merini fumava tantissimo”, mi dice.
Usciamo a mangiare, torniamo, arriva un amico scrittore, arriva il gatto Igor, andiamo al Circolino a bere una Coca Cola. Con il suo amico scrittore, componiamo i caratteri e stampiamo un libro. Si intitola: “il mio sangue è pieno d’amore”. La statuetta di Biancaneve della Merini, intanto, sulla macchina da stampa, osserva silenziosa e altera i fogli che entrano ed escono.
E com’è, allora, Casiraghi, l’artista?
Sembra timido, molto gentile, ma i suoi occhi sono saggi come le radici di un albero. Non lo trovo eccentrico, lo trovo pieno di pace. Ad Alberto dico che la sua casa mi piace, perché mi piacciono le case piene di cose, hanno tanto da raccontare.
E lui mi risponde “se dovessi cambiare casa, la vorrei vuota”. Ma poi penso che non riuscirei ad immaginarlo in un posto diverso da questo.
“Empatia”, gli dico. “Empatia”, risponde. Me ne vado così, con degli aforismi in mano e con una frase in mente: il piombo è leggero sui caratteri mobili, mentre la lentezza illumina le ombre dell’anima.
Sara Mauri